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Stop al Reddito di Cittadinanza per 4848 nuclei familiari del varesotto
Non possiamo assistere impassibili alla scelta del governo di privare cittadini e interi nuclei familiari di un sostegno al reddito per loro essenziale nel far fronte all’acquisto di beni di prima necessità, proprio nel momento in cui il “carrello della spesa” diviene sempre più caro e in assenza di una volontà di intervento di risposta in tal senso da parte dell’esecutivo, che con una mano “taglia” misure di welfare mentre con l’altra garantisce impunità agli evasori fiscali e si dimostra incapace – o disinteressato – a garantirsi i fondi del Pnrr destinati a fini sociali.
Soprattutto non possiamo accettare che la comunicazione della sospensione del sostegno economico ai soggetti interessati sia avvenuta tramite l’invio di un SMS che, di fatto, non prospetta alcun tipo di misura alternativa, se non una ipotetica “presa in carico” da parte dei Servizi sociali, i cui organici sappiamo essere già insufficienti rispetto alle richieste e alle segnalazioni che giungono all’attenzione degli uffici comunali.
In provincia di Varese – come attesta il report pubblicato dall’Inps e relativo al mese di luglio 2023 – la platea di beneficiari del Reddito di cittadinanza conta 4.848 nuclei familiari (per un totale di 9.568 persone) che percepiscono in media 553,88 euro mensili.
Buona parte di questi soggetti perderanno il diritto al sussidio, pur trovandosi nelle condizioni atte a riceverlo sulla base di un principio fondamentale per cui lo Stato non lascia soli i cittadini che attraversano un momento di difficoltà dal punto di vista lavorativo e dunque economico, solo perché ritenuti “occupabili”.
Singolare sinonimo, questo, coniato dal governo per definire chi, suo malgrado, è disoccupato e alla ricerca di un lavoro che non arriva, non certo per una immotivata ritrosia o indolenza da parte della persona ma per l’assenza di concrete prospettive di lavoro, se per lavoro si intende un contratto che rispetti i requisiti di legalità retributiva.
Il taglio colpisce peraltro anche chi un’occupazione ce l’ha ma rientra nella dimensione del cosiddetto “lavoro povero”: mansioni spesso pesanti che prevedono però paghe insufficienti al mantenimento di una famiglia e che non consentono di fronteggiare spese abitative e di sussistenza.
Con un “colpo di spugna” si cancellano così le condizioni per vivere un’esistenza quantomeno dignitosa da parte di persone che attraversano un momento di difficoltà oggettiva, le quali hanno usufruito di uno strumento che ricalca analoghe misure diffuse negli altri Paesi europei e il cui perfezionamento doveva andare, se mai, nella direzione di un’ottimizzazione del sistema delle politiche attive del lavoro, che molte Regioni, in particolare quelle amministrate – come la Lombardia – dal centrodestra, non hanno attuato pur potendo usufruire di specifici fondi stanziati a suo tempo dal governo centrale.
Alla luce di tutto questo, non possiamo come MoVimento 5 Stelle non esprimere, anche a livello locale, la nostra profonda contrarietà rispetto a una scelta che, in un momento di oggettiva difficoltà, crea ulteriori disuguaglianze nel Paese e può sfociare in tensioni che ne minerebbero ancor più la stabilità e la tenuta sociale ed economica. Quando proprio questo strumento di supporto – come attestato dai dati Istat – nel periodo più duro dell’emergenza pandemica aveva contribuito a preservare un milione di italiani dalla povertà assoluta, condizione di certo lontana da chi senza alcuno scrupolo compie scelte che vanno a incidere sulla qualità di vita dei cittadini in stato di bisogno, ma in cui sempre più famiglie rischiano di precipitare, come dimostrano le file via via più lunghe, anche nelle nostre città, alle mense che offrono un pasto caldo e alle strutture che distribuiscono gratuitamente beni essenziali.