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Riflessioni sulla riforma costituzionale
Il dibattito sulla riforma costituzionale si sta attorcigliando sempre più su un dualismo di vedute troppo semplice ed anche fuorviante.
Da un lato la proposta, falsa e con conseguenze nefaste per la democrazia, di snellire il processo legislativo conseguendo, al contempo, una significativa riduzione dei costi della politica mediante la riduzione dei senatori.
Dall'altra la sacrosanta accusa di voler regalare ai soliti amici, indagati od a rischio di indagine, siano essi sindaci o consiglieri regionali, la comoda copertura fornita dalla immunità parlamentare, accompagnata alla probabile inefficienza di amministratori locali costretti (poverini) al doppio lavoro e, quindi, inesorabilmente condannati all'improduttività (sempre ammesso che il nuovo senato debba poi produrre qualcosa di utile, fatto, questo, opinato negativamente da molti esperti con motivazioni sostanziali).
Personalmente, essendo stato formato secondo lo schema classico e di sicuro risultato di ragionare autonomamente piuttosto che uniformarsi acriticamente alle pensate di altri, desidero proporre alcune riflessioni :
1) ammesso e concesso che il sistema del bicameralismo perfetto sia davvero obsoleto e da liquidare senza troppe nostalgie o sentimentalismi formando un nuovo senato, dimezzato nel numero di rappresentanti, vocato unicamente a migliorare la declinazione costituzionale delle autonomie locali eliminando o lubrificando frizioni e contrasti con il potere centrale in favore di un miglior servizio della politica verso i cittadini, non vedo proprio perché questo senato non debba poterlo eleggere direttamente il popolo;
2) sono convinto che il sistema del bicameralismo perfetto adottato dai padri costituenti non sia affatto un sistema superato ma, piuttosto, un meccanismo arruginito, incrostato dalla mala politica sopravvenuta alla tanto vituperata prima repubblica.
I padri costituenti non a caso avevano previsto un Senato formato da persone di età matura rispetto ai deputati della Camera, ed avevano, appunto, il compito di correggere, grazie alla maggiore esperienza, eventuali errori dettati dall'esuberanza di chi è più giovane. Se la politica che è sopravvenuta alla “detestata” prima Repubblica abbia finito con annullare il nobile compito dei Senatori divenuti, via via con l'affermarsi di leggi elettorali basate su principi maggioritari ormai del tutto opinabili, quasi unicamente strumento di baratto politico quasi mai finalizzato al conseguimento del bene comune, questo non significa che non si possa tornare ai sani principi originari.
Continuo a credere, quindi, in una Camera formata da persone per bene ed all'altezza del compito che proponga POCHE, BUONE LEGGI insieme ad un Senato di altrettanti “Signori” attempati che corregga o completi le norme sulla scorta della conoscenza concreta dettata dall'esperienza;
3) nonostante anch'io, al principio degli anni '90, presi a criticare aspramente quella politica che credevo degradata inesorabilmente condannando a gran voce la prima Repubblica ed i suoi esponenti (ma si poteva mai immaginare che si potesse cadere ancor più in una voragine che ormai appare come un “Buco nero” cosmico ?!!), oggi mi convinco sempre più che l'essenza di quella politica fondata sulla CONCERTAZIONE/MEDIAZIONE tra interessi diversi sia da riscoprire e declinare secondo le circostanze storico economiche attuali.
Ricordiamoci che la prima repubblica e la sua politica fondata sulla ricerca del benessere diffuso ci ha portati ad essere la quarta potenza economica del mondo. Gli italiani stavano generalmente, relativamente bene e la povertà era piuttosto circoscritta.
Certamente non si contavamo oltre 4,5 milioni di poveri assoluti che oggi l'ISTAT stima nel suo rapporto annuale sulla povertà in Italia e che sono il frutto di una politica degenerata che negli ultimi venti anni ha concesso (grazie anche alla riforma “Bassanini”) a centinaia di migliaia di persone, collegate direttamente o indirettamente alla classe politica, di trovarsi tra le mani veri e propri patrimoni senza aver dato un contributo reale alla crescita del paese e della pura speculazione finanziaria che ha prevalso sulla ricchezza prodotta con il lavoro e la produzione di beni concreti.
Valerio Montonati